Il leader: garante del “noi collettivo”
Il leader efficace sa promuovere l’adesione ai valori e alla visione dell’organizzazione: perfettamente integrato nel team, sa suscitare senso di responsabilità e spirito di iniziativa e sfrutta la propria unicità per valorizzare l’unicità distintiva di tutto il gruppo.
Il successo del cambiamento culturale ed organizzativo in azienda, oggi indispensabile per rimanere competitivi, si basa sulla mobilitazione di elevati livelli di energia e sulla capacità di attivare la motivazione delle persone interne all’organizzazione. Può cioè avvenire solo attraverso un’operazione di “contagio” innescata da una leadership forte ed innovativa, capace di mobilitare tutta l’energia, tutto lo spirito di iniziativa e il senso di responsabilità verso l’organizzazione che ogni suo appartenente può esprimere.
Per riuscire nel proprio ruolo, il leader deve oggi tenere in gran conto il team e il contesto: il successo della sua leadership poggia sull’identità sociale che sa costruire e promuovere insieme ai suoi seguaci, non sulla sua identità individuale. Le complesse abilità richieste ad un leader devono confluire nella capacità di far sì che i suoi seguaci pensino in funzione dell’interesse collettivo, per cui ogni interazione non avviene più tra i singoli ma tra il leader e i membri di un unico gruppo. In questa relazione cementata dall’appartenenza a un “noi collettivo” il team ha un posto centrale e la leadership non consiste nell’affermazione della superiorità dell’“io” rispetto al “noi” bensì nella dimostrazione della superiorità dell’“io in quanto espressione del noi”.
Tramite la visione ed i valori aziendali è possibile ispirare, dall’alto, tutta l’organizzazione; ma quello che inizialmente è un processo top-down deve attivare ben presto un percorso bottom-up, animato da un nuovo senso di responsabilità, da lealtà e da iniziativa da parte del personale. E questo è uno dei difficili – ma necessari – compiti del leader. Tanto la professionalità del singolo quanto le competenze ed il vantaggio competitivo dell’impresa si basano sulla percezione, da parte delle persone, di discrezionalità, di libertà di iniziativa e di autonomia.
Possiamo dire che qualunque aspetto distingua un leader dal suo gruppo ne riduce l’efficacia come leader. Pensiamo ad esempio alla motivazione: l’esistenza stessa di una distinzione tra leader e seguaci può portare questi ultimi a pensare di possedere meno risorse proprie o, ancor peggio, di avere ottime risorse sottoutilizzate ed incomprese; l’effetto inibente sulla motivazione è immediato ed il terreno diventa fertile per atteggiamenti competitivi o di resistenza.
Il leader deve quindi necessariamente essere come tutti gli altri? Ovviamente no, se la scala di comparazione è quella individuale. In questo caso creatività, capacità di visione e carisma sono caratteristiche che facilmente gli vengono riconosciute e che ne determinano il grado di influenza. Tuttavia la diversità che contraddistingue il leader deve apparire come un fattore in grado di favorire gli interessi e l’identità del gruppo. Il leader deve essere “uno di noi”, membro di uno spazio interno. Gruppi, organizzazioni ed aziende che vogliano progredire devono poter contare su persone ben integrate nella vita del team, persone che fanno continuamente appello ad interessi ed obiettivi comuni e che condividono in modo partecipativo le azioni ed i pensieri che le sottendono. Stili di leadership autocratici e non partecipativi hanno il loro più grande limite proprio nel togliere alle persone ogni senso di padronanza di ciò che stanno facendo, per cui si finisce per pensare di lavorare per qualcun altro e non più per sé stessi, passando da una motivazione interna ad una estrinseca.
È possibile gestire le resistenze e favorire il processo di convergenza tra i valori dichiarati e i comportamenti agiti solo se si è in grado di ancorare il team ad un sistema simbolico forte; si tratta di identificare un paradigma valoriale che sia riconoscibile per tutto il team e universalmente condiviso. Una persona può influenzare, a volte in modi creativi ed inattesi, e guidare gli altri membri del gruppo fintanto che riesce a rappresentare ai loro occhi l’essenza profonda del “noi”. Per questo l’abilità del leader si manifesta soprattutto al livello superiore: nella sua capacità di farsi rappresentante della distintività del suo gruppo nel contesto sociale e nella dimensione comparativa, ovvero rispetto ad altri gruppi che hanno scopi e caratteristiche simili. Distinguere e mettere in luce i tratti unici del proprio gruppo di riferimento rispetto ad altri con caratteristiche simili richiede infatti molta abilità, grande energia e una straordinaria capacità di visione d’insieme. Senza dimenticare un’importantissima dote che il vero leader deve possedere: l’equità. L’equità del leader unisce, stimola un’appartenenza di gruppo condivisa e genera un senso di efficacia diffusa ed interdipendente; al contrario, un leader non equo può minare le basi della fiducia reciproca e far emergere insidiosi interessi individualistici – a discapito del “noi”. È così che si decreta il fallimento della socializzazione e si impedisce l’interiorizzazione dell’intento strategico dell’organizzazione.